Con Antonio Martino l’Italia ha perso un grande liberale

La morte di Antonio Martino avvenuta sabato scorso priva l’Italia di un illustre studioso e di un autentico liberale.

Martino, che aveva 79 anni, era nato a Messina ed era figlio di Gaetano Martino, uno dei padri dell’Unione europea, Martino è stato docente di storia e politica monetaria e Preside della facoltà di Scienze politiche della Luiss di Roma. Aderì a Forza Italia nel 1994: Silvio Berlusconi diceva spesso che l’economista aveva la tessera numero due del partito. I primi passi in politica li aveva compiuti con i liberali: nel dicembre ’88 era stato candidato di minoranza alla segreteria del Pli.

Deputato per sei legislature, dal 1994 al 2018, a Chicago era stato allievo del premio Nobel per l’Economia Milton Friedman, il principale esponente della teoria economia del monetarismo, che su di lui ebbe una grandissima influenza. Martino si definiva «semplicemente liberale» e riteneva che il fallimento delle politiche stataliste sia è dovuto a ragioni non solo tecnico-economiche, ma ancor prima etiche e filosofiche. Restao memorabili le sue divergenze, per la sua posizione liberista in economia, con l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti: più volte Martino lo accusò, anche in interventi a Montecitorio, di avere posizioni illiberali e anti-mercato.

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